Povoletto: il suo territorio, la sua storia…


Povoletto sembra prendere nome da una coltivazione di pioppi (populetum), un tempo assai diffusa, ma non va dimenticata l’esistenza, attestata in un antico documento, di un’ampia zona a pascolo (pabuletum). Un agglomerato urbano risalente alla colonizzazione romana del territorio è attestato da numerosi frammenti di embrici e mattoni, caratteristici del periodo, che affiorano qua e là durante le arature, sempre più profonde, dei campi e ci svelano, tra l’altro, l’esistenza di una rete di canalizzazione delle acque ad uso domestico. La frazione capoluogo viene nominata per la prima volta in un documento del 28 novembre 1234.

Nell’immediata periferia sorgono fabbriche e capannoni artigianali mentre, immerse nel verde delle coltivazioni, si estendono moderne aziende zootecniche e vitivinicole. La zona che si estende a nord-est di Udine costeggiando la sponda sinistra del torrente Torre fino ad incontrare le colline di Savorgnano e incunearsi nelle valli boscose di Nimis, Attimis e Faedis forma il comune di Povoletto; territorio che costituisce il raccordo fra gli ultimi rilievi delle Prealpi Giulie e l’alta pianura. Questo territorio, anche se in parte risente degli effetti delle recenti trasformazioni urbanistiche è un quieto lembo di terra posto ai margini della città. Si possono ammirare ancora le profonde vallate boschive, le soleggiate alture ricoperte di vigneti e le estese pianure coltivate che costituiscono ormai un unico suggestivo ambiente, dove l’azione dell’uomo s’inserisce armonicamente in quella della natura.

Così le colline sono in parte ricoperte di folti boschi con essenze tipiche della zona submontana e in parte da prosperi vigneti. La zona è ricca d’acque: oltre al torrente Torre, che segna ad occidente il confine territoriale del comune e che rivestì tanta importanza nella storia come nella vita socioeconomica di quest’area, scorrono in parte dei suoi estremi lembi settentrionali e orientali i torrenti Cornappo e Malina. Numerosi ruscelli, come il Rio Maggiore, il Rio Storto, e il Rio Viezzis, scendono dai rilievi collinari e dai pendii, mentre la millenaria Roggia Cividina, estratta dal Torre presso la Motta, attraversa l’intera pianura, conferendo all’ambiente, già dolce e riposante, una bellezza e un’attrattiva del tutto particolare. L’attività prevalente nel territorio rimane ancora l’agricoltura e di questa soprattutto la coltura specializzata della vite, probabilmente introdotta a Savorgnano dagli stessi Romani, estesa durante il Medioevo in tutto il territorio comunale e sviluppatasi ancora meglio nell’Ottocento e agli inizi del Novecento proprio sulle colline savorgnanesi con l’imponente opera di bonifica introdotta dal tricesimano Giovanni Sbuelz.

In questo lembo friulano, fino a qualche decennio fa ancora incontaminato, la “civiltà contadina” custodiva gelosamente i suoi metodi di vita e tramandava le sue tradizioni popolari fondate sui cicli della natura e delle attività agrarie come le sagre paesane che s’imperniano sulla cultura enoica, a sua volta riaffermata nelle superstiti e caratteristiche attività delle osterie private, alcune delle quali molto rinomate da anni. La storia, che potrebbe apparire soltanto minore e circoscritta nell’angusto spazio del comprensorio, risulta invece intimamente legata alle più vaste e rilevanti vicende del Friuli ed ogni frazione e località, anche se ormai ridotta a poche case, ne è gelosa custode. Un esempio è Cortevecchia, sorta a guardia del passaggio obbligato per le vallate di Attimis e Partistagno, all’incrocio delle strade provenienti da Savorgnano e Ravosa prima di diramarsi nella pianura verso Udine e Tricesimo. Molto interessanti sono le rimanenti testimonianze rappresentate in particolare dalle chiesette votive disseminate sul territorio, oggetto di recenti restauri. Esistono anche alcune ville gentilizie di particolare bellezza architettonica situate in angoli stupendi con i loro rustici, i loro giardini e talvolta anche con laghetti e roielli alimentati dalle acque della Roggia o di altri antichi corsi d’acqua.

L’intera zona, quindi, si presta in maniera particolare alla fruizione turistica di breve e medio termine, proprio per i mutevoli e pregevoli aspetti che offre il suo paesaggio, dove alcuni itinerari turistici lungo le dorsali delle colline e dei boschi o nei pressi del Torre, del Malina o della Roggia Cividina, oggetto di riscoperta turistica, attualmente interessati a speciali norme di tutela e di salvaguardia ambientale, meritano di essere ancora meglio conosciuti e rivalutati. Nel comune di Povoletto vi sono pure diverse località storiche, alcune delle quali legate a gloriosi nomi del passato, come il monastero femminile di Salt e della sua regina longobarda Piltrude, o ad altri prestigiosi nomi della nobiltà friulana come i Savorgnan, signori del castello della Motta, e i Partistagno, signori di Belvedere. Notizie molto più certe si hanno del castello della Motta di Savorgnano, Sabornianum, citato per la prima volta nel 921 come oggetto di ristrutturazioni difensive.

I ruderi di quella che fu una fra le più temute fortificazioni sono oggetto di varie campagne di scavi che hanno messo in evidenza gli spazi che confermano l’origine certamente longobarda del sito. Attualmente vi si può accedere seguendo un sentiero turistico segnalato sulla strada della Motta che da Savorgnano porta a Nimis. Degna della nostra attenzione è anche la Roggia Cividina, che ancora oggi conserva i suoi dodici salti che azionavano altrettanti opifici nel solo territorio comunale. Le sue acque proseguono sino a Cerneglons e quindi giungono a Buttrio per perdersi poi a Lonzano. Il noto documento del 1° agosto 1296 ce la descrive già ricca di mulini di proprietà del capitolo di Cividale e delle nobili famiglie locali ma gestita dai nobili Pietro de Utino, Costantino et Carsmano de Savorgnano.